“Esordii nella mia carriera di giustiziere di Sua Santità, impiccando e squartando a Foligno Nicola Gentilucci, un giovinotto che, tratto dalla gelosia, aveva ucciso prima un prete e il suo cocchiere, poi, costretto a buttarsi alla macchia, grassato due frati”.
Così ha inizio Memorie di un carnefice di Giambattista Bugatti, detto Mastro Titta, boia dello stato Pontificio dal 1796 al 1864, periodo durante il quale portò a termine 516 esecuzioni. Le sue memorie furono pubblicate 17 anni dopo la sua morte.
Con ironia e sangue freddo, il boia racconta le sue prodezze, giustificandole con parole di incredibile razionalità:
“Un delinquente è un membro guasto della società, la quale andrebbe corrompendosi man mano se non lo sopprimesse. Se abbiamo un piede od una mano piagata e che non si può guarire, per impedire che la cancrena si propaghi per tutto il corpo, non l’amputiamo? Così mi pare s’abbia a fare dè rei. E benché innanzi nell’età e ormai vicino a rendere la mia vita al Creatore ed a comparire al suo supremo tribunale, non provo alcuna tema per ciò che ho fatto: se il bisogno lo richiedesse e le forze me lo con sentissero, tornerei da capo senza esitanza, perché mi considero come il braccio esecutore della volontà di Dio, emanata dai suoi rappresentanti in terra”.
Mastro Titta (1779 – 1869) al secolo Giovan Battista Bugatti, esercitò per quasi settant’anni la professione di boia ufficiale dello Stato Pontificio, divenendo un personaggio proverbiale nella Roma dell’epoca. La sua figura è stata resa celebre, ai giorni nostri, dall’interpretazione teatrale di Aldo Fabrizi nel Rugantino di Garinei e Giovannini.